11 Ottobre 2016

Recalcati: a tutto basket

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La consegna del premio Retina d’Oro

Un palmares di tutto rispetto, sia come giocatore sia come allenatore, quello che può vantare Carlo, Charlie Recalcati, al quale ora si è aggiunto anche il Premio Speciale Retina d’Oro 2014.
Un riconoscimento dato all’ex cestista della Pallacanestro Cantù, all’allenatore, uno dei pochi italiani ad aver vinto tre scudetti con tre squadre diverse e ad aver raggiunto le 800 presenze in Serie A, ma anche all’uomo, diventato ormai un’icona del basket.
Il segreto di un successo così duraturo? Forse, come fa intendere Recalcati, il segreto è fare sempre quello che ci diverte.

a cura di Alessandra Cipolla

 



Che cosa era per Carlo Recalcati adolescente la pallacanestro e cosa rappresenta ora, dopo una vita passata a giocarla e ad allenare?

«A 15 anni era esclusivamente divertimento. Io ero ragazzino nella Milano del secondo dopoguerra, una città in piena ricostruzione, in un quartiere popolare, quello di Paolo Sarpi, non facile per i ragazzi, dove si sentiva la necessità di avere un punto di riferimento. Questo per noi era il campo di basket appena costruito. Lì ci allenavamo, ma non solo, trascorrevamo la giornata, studiavamo, insomma ci divertivamo tra amici».

 


Puro divertimento, insomma, che a un certo punto ha avuto uno stop…

«A 16 anni iniziai a lavorare di giorno e studiare di sera per completare gli studi di ragioneria. Per un anno quindi mi limitai a guardare i miei amici giocare la domenica mattina. Poi Gianni Corsolini del Cantù e il mio allenatore del centro giovanile pavoniano Arnaldo Taurisano mi diedero l’opportunità di trasferirmi a Cantù e iniziare a praticare la pallacanestro con un impegno che mi avrebbe portato al professionismo. La mia passione ha attraversato varie fasi, ma quello che non è mai mancato – oggi come allora – è la componente divertimento, il piacere di fare un’attività che dà soddisfazione, non solamente in termini di risultati».

 

E dopo una carriera da giocatore ai massimi livelli il passaggio ad allenatore. Una scelta o un caso?

«Quando giocavo in Nazionale e in Serie A, pensavo avrei giocato fino a che le forze me lo avrebbero consentito, in qualsiasi categoria, perché mi divertivo, era quella la mia passione. Ero tuttavia consapevole che la carriera come giocatore non sarebbe durata in eterno. Io sono sempre stato molto concreto, tanto è vero che ho avuto per 16 anni un’agenzia di assicurazioni. Un’attività parallela, un impegno anche gravoso che voleva anche dire non fare vacanze, che è continuata anche quando, in modo che definirei casuale, sono passato ad allenare. Solo nel 1990, quando ho sentito che fare l’allenatore era diventata un’attività che sentivo mia e mi appassionava, mi sono dedicato esclusivamente al basket».

 

Da allenatore: è più difficile imparare a vincere o a perdere? Ed è più facile insegnare a vincere o a perdere?

«Diciamo che è importante insegnare a gestire le vittorie, una cosa a cui non si fa mai l’abitudine, per far sì che alla prima ne seguano altre. La prima vittoria dà la sensazione di essere invincibili, si pensa che sia sufficiente scendere in campo per vincere. Quello è il momento in cui si abbassa la guardia e si va incontro alla sconfitta. Ma rimane più difficile imparare ad accettare la sconfitta. Bisogna tuttavia ricordarsi che, nella vita di uno sportivo, salvo casi eccezionali, la normalità è la non vittoria. Secondo me ci sono tanti modi di essere vincenti: non esiste solo la vittoria di una partita, di un campionato. Si può essere vincenti crescendo dei giocatori e vedendoli diventare campioni, lavorare in una realtà e vederla crescere giorno per giorno e sapere che anche il tuo contributo le permetterà di vincere o restare ad altissimo livello».

 

Quali sono le vittorie o i momenti della sua carriera che ricorda con maggiore emozione?

«Tra i ricordi da giocatore sicuramente le prime volte: l’esordio in Nazionale, il primo campionato vinto con la Pallacanestro Cantù, la prima medaglia con la Nazionale ai Campionati Europei e la partecipazione alle Olimpiadi, che è già di per se stessa un successo. Da allenatore ho avuto la fortuna di partecipare alla prima volta di molte società. Ricordo il campionato con il Varese che non vinceva da 25 anni, così come il primo scudetto di Siena che non aveva mai vinto prima, il primo scudetto della Fortitudo. E poi anche i riconoscimenti individuali, come la Retina d’Oro, che vanno al di là dei risultati sportivi, e premiano il tuo modo di essere, di interpretare lo sport al di là dei risultati. Per esempio, ricevere lo scorso anno l’Ambrogino d’Oro per me, milanese che non ha mai giocato a Milano ad altissimo livello e che ormai da 40 anni non vivo più a Milano, è stata una grande emozione».

 

Molti dicono che il basket di oggi sia molto fisico ma un po’ povero di fondamentali. Lei cosa ne pensa?

«E’ verissimo. Non è solo il basket che sta andando in quella direzione, è un problema dello sport in generale, dove l’atletismo sta prendendo il sopravvento sulla tecnica. La pallacanestro era nata come sport dove non erano consentiti contatti, poi via via è diventata uno sport dove vengono concessi contatti molto esasperati. Da qui l’importanza che è venuta ad assumere la forza, l’atletismo a scapito dei fondamentali. Nel corso degli anni è cambiato un po’ anche lo spirito della pallacanestro e, come spesso succede nella transizione, da un tipo di sport all’altro ci potrebbe essere una via di mezzo che purtroppo non c’è».

 

Con nuove regole si potrebbe ovviare a questa deriva?

«Più che creando nuove regole bisognerebbe tornare a investire nei settori giovanili, così come era in precedenza. Ora, tranne pochi casi, che sono poi quelli vincenti, difficilmente si trovano società che siano disposte a investire su allenatori del settore giovanile. Spesso gli allenatori stessi considerano il loro lavoro come un momento di passaggio per arrivare ad allenare una squadra senior e quindi allenano le giovanili come fossero senior, trascurando i fondamentali».

 


Cosa appassiona Recalcati oggi, oltre al basket?

«Il basket ha assorbito gran parte della mia vita anche se ho sempre giocato su più fronti: studio e basket, assicurazioni e basket e poi ho allenato in contemporanea un club e la Nazionale. Tutto questo mi ha portato ad avere veramente poco tempo libero.
Sul fronte familiare mi sono goduto poco le mie due figlie che, grazie soprattutto a mia moglie, sono cresciute comunque bene, anche se io me le sono trovate ormai adulte e genitrici a loro volta quasi senza accorgermene. Forse proprio per questo ora cerco di godermi i nipotini: Alice di 8 e Gianmarco di 14. A loro dedico il mio tempo libero e, a Gianmarco, anche qualche consiglio sulla pallacanestro».

 

Le rimane un sogno nel cassetto?

«Anche due: mi piacerebbe vedere vedere la Reyer campione d’Italia e che il basket torni a essere uno sport sano come una volta. Allora se un giovane aveva la passione e le capacità per riuscire, poteva investire su se stesso e pensare di mantenerci una famiglia. Ora purtroppo non è più così».

 

Un pronostico sul campionato di quest’anno?

«Beh, direi quasi scontato: l’Olimpia Milano è senz’altro il club più forte e ne sta dando la prova sul campo».

 


 

recalcatiCharlie Recalcati in pillole

Da giocatore è stato una bandiera della Pallacanestro Cantù e ha esordito con la Nazionale nel 1967. Con la maglia azzurra vanta 166 presenze, 1.239 punti segnati, ha vinto due medaglie di bronzo agli Europei (1971 e 1975) e ha disputato il Mondiale 1970 in Jugoslavia.
Nella sua carriera da coach Recalcati ha vinto tre scudetti con tre squadre diverse (unico a riuscirci tra gli allenatori italiani in attività), una SuperCoppa Italiana e ha conquistato due promozioni. Ct della Nazionale italiana dal 2001 al 2009, alla guida degli azzurri ha vinto un argento olimpico nel 2004, un bronzo nel 2003 agli Europei e un oro nel 2005 ai Giochi del Mediterraneo. Nel 2007 è stato inserito nella Hall of Fame del basket italiano. Per la stagione 2014-15 viene ingaggiato dalla Reyer Venezia. La Reyer è l’unica realtà italiana che fa pallacanestro ad alto livello sia maschile sia femminile ed è l’unica in Italia a portare tutte le squadre giovanili alle finali nazionali.